
La ceramica ad Assemini
Assemini è una città in cui la produzione di ceramica ha origini molto antiche e rappresenta un punto d’unione tra passato e presente. Si trova in Sardegna, a pochi chilometri da Cagliari e dall’aeroporto di Elmas, in un territorio pianeggiante, tra la laguna di Santa Gilla e Monte Arcosu, vicino alle foci dei fiumi Cixerri e Mannu. I resti di ceramiche più antichi che sono stati ritrovati risalgono alla fine del V-III secolo a.C., vasi attici e ceramiche locali puniche, grazie ai quali si è potuto ricostruire il passato di Assemini, dandoci tante informazioni importanti.
La tradizione della ceramica ad Assemini
Nel tempo la tradizione della ceramica ad Assemini ha continuato ad essere molto importante e soprattutto ad essere tramandata da una generazione all’altra. In passato venivano prodotte per lo più stoviglie (su strexu), realizzate in serie, caratterizzate da pentole, casseruole, pirofile e brocche, quindi utensili di uso quotidiano. Negli anni Venti del secolo scorso, un giovane ceramista di grande talento, Federico Melis, collaborando con i figuli asseminesi, riuscì a portare la ceramica sarda ad un livello più alto, realizzando produzioni artistiche di pregio grazie all’uso della muffola (sorta di coperchio cilindrico entro cui venivano cucinate le ceramiche smaltate, senza che le fiamme toccassero direttamente il manufatto, annerendolo o bruciandolo).
Uno dei motivi per cui la ceramica ad Assemini ha avuto una grande tradizione alle spalle è stato il fatto che la materia prima, l’argilla, era reperibile direttamente in loco, ed era di ottima qualità. Spettava poi all’abilità dell’artigiano miscelare l’argilla, troppo grassa o magra, in base al manufatto da realizzare. L’argilla asseminese, rispetto a quella di altri centri sardi vanta una maggiore plasticità e, grazie alla presenza del carbonato di calcio, accetta gli smalti.
Manufatti in ceramica realizzati ad Assemini
Uno dei manufatti più importanti ad Assemini è sicuramente la brocca, (sa mariga), usata un tempo per andare a prendere l’acqua nei vari punti di approvvigionamento, quando ancora non c’era l’acqua corrente nelle case. La brocca d’uso domestico era molto semplice e si differenziava da quella “della sposa“, che invece presenta decorazioni incise con il giunco o con una canna tagliata. Se la sposa era benestante il ceramista poteva mostrare la sua bravura arrichendola con decorazioni plastiche a uccellini e con i motivi tipici delle decorazioni del pane tradizionale (coccoi pintau). La versione con bocca e collo più larghi veniva usata per la conservazione i cibi.
Un altro utensile molto usato nelle case era la conca, (sa scivedda), usata per preparare impasti di pane e altri cibi come la fregola (sa fregua), in cui però veniva usata “sa scivedda bassa” con incisioni sul fondo, variante tipica asseminese. Le conche venivano usate anche per altri scopi domestici come lavare la biancheria.
Oltre sa mariga e sa scivedda nel corredo domestico della sposa non potevano mancare piatti, scodelle, boccali, vasi, scolapasta, ciotole, bottiglie, pentole, tegami e fiaschi per bere durante i lavori in campagna.
La ceramica veniva usata anche per fabbricare le mattonelle per le coperture delle cupole delle chiese o per fabbricare i tubi di noria usati per irrigari gli orti.
Dall’estrazione alla cottura
Per estrarre l’argilla venivano scavati dei pozzi a galleria nel suolo, direttamente nel cortile della casa-laboratorio dell’artigiano o in uno dei suoi terreni e si prendeva la quantità di argilla che poteva servire in un anno di attività. Qui veniva ammucchiata e lavorata per togliere le impurità, si miscelava e si continuava a lavorare per renderla della giusta consistenza. Dopodichè, una volta pronta, si lasciavano le quantità di argilla già divise in pani (cuccus), accanto al tornio, per lavorarle una dopo l’altra.
Il cortile dell’artigiano era un vero e proprio laboratorio di ceramica in cui c’era tutto ciò che poteva servire per l’estrazione, la lavorazione e la cottura delle ceramiche.
Per poter dare le diverse forme ai manufatti si usava e si usa tutt’ora la foggiatura al tornio, (sa roda), un tempo a pedale, oggi elettrico. L’utilizzo del tornio richiede una grande abilità ed esperienza ma permette di creare pezzi unici, oppure si usa la foggiatura a stampo, per la produzione in serie. Una volta data la forma si decorava, si faceva essiccare in un luogo riparato e si dava una prima verniciatura, dopo c’era la fase più delicata, quella della cottura nel forno a legna.
Oggi nella maggior parte dei casi il forno a legna è stato sostituito perchè la riuscita dei manufatti con questo tipo di forno è troppo rischiosa e lenta e si preferisce usare forni elettrici o a gas. Un tempo infatti, prima dell’apertura del forno si facevano gli scongiuri affinchè il lavoro fosse uscito bene. I forni a legna venivano costruiti direttamente dagli artigiani, in mattoni crudi, a forma cilindrica, rinforzati da laterizi e rivestiti da un impasto di argilla, limo, sabbia e paglia.
Passaggi finali della produzione
La fase successiva prevedeva un rivestimento con cristalli polverizzati per ottenere lo smalto, fino al 1970 si usava la galena, poi sostituita con smalti senza piombo perchè ritenuta dannosa per la salute. Infine si procedeva con una seconda cottura, più delicata della prima. La cottura poteva durare anche 12 ore, in base alla qualità dell’impasto, e si faceva a fine giornata. Anche il tipo di legna utilizzato per la cottura era molto importante per la riuscita dei manufatti, si usava preferibilmente il cisto, ma, per la fase finale, si potevano usare anche il lentisco, il corbezzolo e l’asfodelo. I ceramisti prendevano la legna da Monte Arcosu, Gutturu Mannu o in una zona vicino Santa Lucia, chiamata Prau.
Nelle botteghe artigiane i lavori venivano divisi tra tutti i componenti della famiglia, per i figli era una sorta di apprendistato che terminava solo quando si era in grado di usare il tornio, cuocere i manufatti e avere una buona abilità in tutte le fasi della produzione.
Marchio DOC
In questo modo la tradizione si è tramandata da una generazione all’altra, ad Assemini abbiamo esempi di ceramisti arrivati anche alla quinta e, grazie alla loro maestrìa, hanno ricevuto numerosi premi anche a livello internazionale. Assemini, per la sua lunga tradizione ha ricevuto un grande riconoscimento, è stata infatti denominata “città di antica tradizione della ceramica, marchio DOC”.
Per poter ammirare e acquistare queste meravigliose creazioni puoi visitare le botteghe artigiane dei ceramisti asseminesi e l’Ex Centro Pilota per la Ceramica, in via Lazio, che ospita oltre 250 manufatti, locali e nazionali.
Ecco alcuni link per conoscere meglio i ceramisti asseminesi:
- Walter Usai
- Doriana Usai
- Andrea Farci
- Maria Grazia Gavini
- Luca Cossu
- Giovanni Deidda
- Luigi Nioi
- Simona Mostallino
- Ignazia Tinti
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2 commenti
ROSANNA IPPOLITO
Non conoscevo la tradizione di questo paese per la ceramica…Grazie
Susanna
🙂